Febbraio 19, 2021
Nel mio anteriore articolo di questa pubblicazione, vi parlavo della mormorazione, di quant’è pericoloso questo brutto peccato della lingua (anche se, come tutti i peccati, ha origine nel cuore e nella mente) che, oltre a essere una grave mancanza di carità verso il prossimo, attenta contro l’unità e come tale è un efficace strumento del Maligno capace di distruggere un’intera comunità.
C’è un’altra brutta mancanza che, commessa dalla lingua (come la mancanza precedente), ha la sua origine in un atteggiamento interiore (psicologico e spirituale) nel quale possiamo cadere senza nemmeno accorgercene, forse giungendo perfino a non considerarlo peccato (da qui la facilità con cui può infiltrarsi nel nostro modo di agire), e che rovina seriamente la nostra relazione con Dio (con irrimediabili conseguenze sulla nostra relazione con gli altri): la lamentela.
Non molto tempo fa, fecero al Papa Francesco un curioso regalo: un cartello che a grandi caratteri cubitali, di fianco a un tipico segnale di divieto della segnaletica stradale, diceva: “PROIBITO LAMENTARSI”. E, in caratteri più piccoli, aggiungeva: “Legge nº 1 sulla tutela della salute e del benessere. I trasgressori sono vittime di una sindrome di vittimismo con la conseguente diminuzione del tono del buon umore e della capacità di risolvere problemi. La sanzione si raddoppia se l’infrazione viene commessa alla presenza di bambini. Per migliorare se stessi bisogna concentrarsi nelle proprie potenzialità e non nei propri limiti; pertanto: la smetta di lamentarsi e agisca in modo da migliorare la propria vita!”.
Dicono che il Papa collocò quel cartello sulla porta della sua stanza da letto. Questo mi ha fatto ricordare un aneddoto raccontatomi da un buon amico vescovo nel Messico, il quale aveva posto sulla porta del suo ufficio la scritta: “Sezione reclami”. Si tratta di un atteggiamento psicologico che influisce molto negativamente; e, poiché nella persona umana ogni aspetto (fisico, psicologico, spirituale, morale…) va unito in una continua interdipendenza, ha un forte influsso sulla nostra anima, sulla nostra stessa relazione con Dio, e può diventare una (cattiva) abitudine che distrugge una cosa tanto fondamentale com’è la nostra fiducia in Dio. Infatti, può sembrarci più che legittimo (dato che non figura nel catalogo dei dieci comandamenti, per cui non gli diamo importanza) manifestare questo sfogo (o, pur non giungendo a manifestarlo esplicitamente, averne l’atteggiamento interiore).
Il reclamare e il lamentarsi vuole dire respingere, non accettare qualcosa o qualcuno. Ma nella nostra vita niente succede casualmente. Tutto, perfino una foglia d’albero o un capello del nostro capo non cade senza che Dio lo permetta (cfr. Mt 10, 30; Lc 12, 7). E allora, quando ci lamentiamo, non ci accorgiamo che in quel modo dimostriamo di non comprendere che il Signore, nella sua infinita e misteriosa provvidenza, si serve di tutto per il nostro bene (cfr. Rom 8, 28), anche se in quel momento non lo capiamo (per cui è bene non chiederne il perché) e ci fa arrabbiare; la Croce sempre “duole”! Non ci accorgiamo che in molte occasioni quei lamenti non sono altro che un rifiutare la Croce e la Volontà di Dio, che ci viene incontro attraverso situazioni e persone di cui ci lamentiamo.
Qualche anno fa, Papa Francesco stesso, parlando di certi concreti atteggiamenti pericolosi nella vita consacrata, incoraggiava a non cedere a “vizi” come la mormorazione o la tristezza, e a non dare “culto alla dea Lamentela”, cioè, a non lagnarsi sempre (Incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie. Aula Paolo VI, sabato, 6 luglio 2013). Sono atteggiamenti che possono anche far ammalare (in tutti i sensi) la persona.
Allora, che cosa fare se, prendendo coscienza della realtà, scopriamo di stare cadendo in questo vizio del lamentarci contuinuamente? Occorre applicare la strategia di sempre: per combattere un vizio, mettere in moto la virtù opposta. E quale sarebbe in questo caso la virtù? Non sarebbe sufficiente dire che non bisogna lamentarsi. Abbiamo appena detto che (seppure in modo inavvertito) questo atteggiamento del lamentarsi sempre implica una mancanza di fiducia in Dio (perfino di disprezzo di quanto Egli comanda), e allora, a mio modo d’intendere, l’antidoto che dobbiamo applicare è la gratitudine.
Se io, illusionato, faccio un regalo a qualcuno e costui lo riceve con indifferenza o arriva perfino a gettarmelo in faccia con un gesto di disprezzo, logicamente non mi passerà più per la mente l’idea di fare qualche altro regalo a quell’individuo; se invece, anche solo per un piccolo regalo, ricevo un’esplosione di gratitudine, ciò mi animerà a fare molti e continui regali a quella persona. Il lamentarci, come segno d’ingratitudine, ci chiude ai doni di Dio; invece la gratitudine ci apre ad essi e ci attrae nuove benedizioni.
Se, riguardo alla mormorazione, abbiamo applicato il criterio di non cedere MAI ad essa, ricorriamo a un secondo MAI: MAI lamentarsi; ma, al contrario, vivere in un continuo ringraziamento a Dio per tutto, anche se non lo comprendiamo, anche se ci duole, anche se per dire “grazie, Signore!” sentiamo come se ci scoppiasse il cervello o che ci sferrassero un calcio sulla bocca dello stomaco … E perseverare in questo dar grazie per tutto e in ogni momento, prendendo la buona abitudine della lode di adorazione e di ringraziamento.
Vi assicuro che ciò sarà una sorgente incredibile di pace e di sanazione per le vostre anime. Anche perché questo non è niente di speciale o straordinario: siamo stati creati per la lode, non per il lamento e per conseguenza condannati alla tristezza, al pessimismo e all’amarezza, tutte cose che non possono essere di Dio.